I fuochi di San Giuseppe, a Itri una tradizione che non tramonta mai

di Alessia Riccio

Le giornate diventano più lunghe, il tempo si fa più mite, i giardini iniziano a colorarsi e come ogni anno l’inverno freddo lascia il posto alla primavera e ai suoi riti in cui si confondono sacro e profano. Così a Itri si rinnovano i fuochi di San Giuseppe, una tradizione che si tramanda da generazione in generazione, ma che col tempo non ha mai perso il suo tocco di magia.

Annualmente la sera del 19 marzo, in ogni rione del paese risplende l’imponente fiamme di un falò, l’odore delle zeppole itrane e degli altri piatti tipici pervade le strade stracolme di cittadini e forestieri che per un momento mettono da parte i pensieri e si lasciano trasportare da melodie, danze e balli popolari.

Per comprendere la nascita e il significato di questa manifestazione si deve scavare a fondo nei riti arcaici del fuoco, dove quest’ultimo veniva usato come gesto rituale per salutare l’inverno freddo e improduttivo e dare il benvenuto alla primavera, stagione di vita e rinascita. Non a caso l’accensione dei fuochi ricade proprio nella notte che antecede l’equinozio di primavera ed era usanza dei falegnami del borgo ripulire le botteghe ed i magazzini, dagli scarti della lavorazione e allestire i falò in onore del Santo Giuseppe, loro patrono e protettore.

Inoltre per simboleggiare la fine dell’inverno, in cima a ogni fuoco viene posto un manichino fatto con stracci vecchi (màmmuòcc).

Questa tradizione ha la meravigliosa capacità di riuscire a fondere aspetti del paganesimo con la religiosità cristiana, attirando tantissime persone dei territori limitrofi.