IUS Solitum

Di Alessia Maria Di Biase.

Non passa giorno in cui non sentiamo un cittadino italiano lamentarsi del fatto di non essere abbastanza tutelato, di non avere un lavoro fisso o non di averlo affatto, di dover ripiegare sull’assistenza sanitaria privata, perché quella pubblica non funziona, di riformare il sistema scolastico perché quello attuale non è al passo con i tempi. 
E ancora, gli inascoltati cittadini italiani piangono per l’impossibilità di arrivare alla fine del mese, per la necessità di emigrare pur di avere (o sperare di avere) un lavoro dignitoso, l’abbandono da parte delle istituzioni, la paralisi del Paese. 

Eppure, c’è chi questa cittadinanza italiana la vuole a tutti i costi, pur esistendo già in parte questa possibilità

Ecco che si ritorna a parlare dello Ius Soli, letteralmente il diritto da parte di un cittadino straniero di acquisire la cittadinanza italiana se nato in Italia. 

Attualmente, un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, dimostrando però di essere stato residente in Italia legalmente e senza interruzioni dalla nascita. 

Ma in realtà il disegno di legge 2092 per la riforma della cittadinanza, già approvato dalla camera il 13 ottobre 2015 qualora diventasse legge, non prevede questa possibilità “piena” ed automatica dell’acquisizione della cittadinanza ma impone delle condizioni subordinate poi ad una richiesta, 

è il c.d Ius Soli temperato. 

Oppure, potrà richiedere la cittadinanza Italiana il bambino che avrà dimostrato la frequenza costante di un percorso di studi (c.d. Ius culturae). 

A ben vedere dunque, c’è un po’ di differenza tra la richiesta e le aspirazioni dei cittadini stranieri e il testo legislativo e l’impressione che si ha, è che questo tema sia stato ancora una volta strumentalizzato; non approvare la legge vorrebbe dire chiudere le porte agli straniere, approvarla significherebbe aprirsi ad un nuovo concetto di cittadinanza. 

E quindi il Paese continua come al solito a dividersi, si torna a discutere per paura di perdere quella identità nazionale che, seppur con tutti i limiti, cerchiamo in ogni modo di salvaguardare. 

Il problema non è tanto se, chi arriva da fuori abbia titolo o meno di avere i nostri stessi diritti, la vera domanda che tutti si pongono è quali sono i diritti dei quali gli italiani beneficiano oggi in quanto tali.

Alla luce della situazione politica, economica e sociale nella quale ci troviamo oggi, il dilemma è se, battersi per vedere salvaguardati prima di tutto i propri diritti, possa essere considerato naturale spirito di sopravvivenza o mancato senso dell’accoglienza; sano egoismo oppure una edulcorata declinazione della parola razzismo.   

Ognuno è pronto a giurare che è sicuramente giusto, se non per legge, per coscienza, che chi arriva nel nostro Paese venga accolto fino a diventare parte integrante del nostro tessuto sociale, ma nessuno dice se è altrettanto giusto, che due ragazzi perdano la vita fuori dai nostri confini per aver anche solo una parte di quegli stessi diritti, che gli stranieri con tanta forza pretendo di avere dall’Italia.