Viaggiando nella storia: Itri, una gemma plasmata 

di Krizia Celano

Conosciuta come la Terra dei Briganti e di Frà Diavolo, Itri è un pittoresco borgo dalle origini antichissime.L’origine del suo nome è ancora sconosciuta, sebbene molto spesso sia stata associata alla voce latina “Iter”- viaggio, probabilmente conferita dai romani durante i loro lunghi tragitti nelle terre pontine.

Tuttavia, le prime notizie della cittadina risalgono al 914, anno in cui in un atto di vendita è citato uno “Stefano, itrano”.

Il borgo fece parte inizialmente del ducato di Gaeta e passò quindi sotto i Dell’Aquila, signori di Fondi; in seguito fu di proprietà dei Caetani nonché posteriormente ceduto alla Diocesi di Gaeta.

L’abitato, però, sorse prima intorno al castello (città alta) e si espanse solo in seguito lungo la via Appia (città bassa). I due nuclei separati dal torrente Pontone, inoltre, videro popolarsi anche la zona di “Campello”, abbandonata in seguito nella seconda metà del XV secolo.

Dal XIII secolo e fino al 1861 fece parte del Regno di Napoli (poi Regno delle Due Sicilie) nell’ambito dell’antica Provincia di Terra di Lavoro, della quale continuò a fare parte anche dopo l’Unità d’Italia, fino al 1927.

Poi, durante il periodo fascista, nel 1927 l’intera parte settentrionale della Provincia di Terra di Lavoro fu scorporata dalla neonata Provincia di Caserta e assegnata al Lazio (Province di Frosinone e Roma). In particolare quasi tutta la parte del Distretto di Gaeta fu assegnata a quest’ultima che, nel 1934, la vide inclusa nel territorio della neocostituita Provincia di Latina.

Nel 1911 Itri vide popolarsi di emigranti sardi arrivati per lavorare al V lotto della Direttissima Roma-Napoli. Nel contesto nazionale erano già presenti elementi di razzismo contro questi ultimi, chiamati sardegnoli, che non scomparvero fino alle imprese della Brigata Sassari nella Prima guerra mondiale.

Sebbene il 75% del patrimonio itrano fu distrutto durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, molti sono i resti archeologici e religiosi di cui la cittadina è caratterizzata.

Tra il IX e l’XI secolo fu eretto su un’altura il Castello cittadino ad opera del duca di Gaeta “Docibile I” il cui nipote, anni dopo, diresse la costruzione di un ulteriore torrione cilindrico di aggiunta al castello denominato anche “torre del coccodrillo”, in quanto si narrava che i condannati a morte venissero dati in pasto a questi animali che ne abitavano le acque.

A questo complesso appartiene anche un fortilizio (la cavea) con tre piccole torrette cilindriche disposte ad un livello inferiore e visibili dall’entrata principale del Castello: questa parte era adibita a luogo di ristoro per cavalli, servitù e gendarmi. Dalla cavea si può vedere, grazie ad un cancelletto, il ghetto ebraico (Vico Giudea) dove si trovava anche una piccola sinagoga, ormai scomparsa.

Dimora di Giulia Gonzaga, contessa di Fondi e donna famosa per aver accolto artisti e letterati dell’epoca, il castello ha subìto recentemente rinnovi strutturali affinchè possa ricevere il giusto onore e la possibilità di offrire tutta la sua storia.

La presenza di un serpente sullo stemma cittadino ha dato origine alla leggenda che la fondazione della città fosse derivata dagli abitanti della città di Amyclae, sulla costa, fuggiti nell’interno per un’invasione di serpenti. Secondo tale leggenda, inoltre, il nome della città deriverebbe dalla figura mitologica dell’Idra di Lerna, serpente a nove teste e velenosissimo. 

Inoltre, in direzione di Fondi, nella gola di Sant’Andrea, è stato rimesso in luce e valorizzato un tratto dell’antico percorso della Via Appia Antica dove, sui ruderi di una villa romana sorgeva un forte che fu utilizzato da Fra’ Diavolo nella difesa contro i Francesi nel 1798. Nella Valle di S. Andrea si trova uno dei tratti più suggestivi e meglio conservati dell’Antica Appia lungo la Via Francigena del Sud. All’incirca a metà del percorso la via è dominata dal forte dove si svolsero diverse battaglie, una fra le più celebri riguardò lo scontro nel 1799, quando il legittimista itrano impedì la penetrazione delle truppe napoleoniche nel Napoletano. In età tardoantica sui ruderi del tempio fu edificata una cappella votata a S. Andrea Apostolo, da cui prende il nome il forte e la valle.

Tuttavia, non è l’unico edificio religioso realizzato a Itri che  vanta la presenza del convento di San Francesco, del monastero di San Martino, della chiesa dedicata a San Michele Arcangelo e di Santa Maria di Loreto.

Di notevole importanza la chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore, ospitante le reliquie di San Costanzo martire, ed il santuario della Madonna della Civita in cui si venera un antichissimo quadro raffigurante una Madonna nera con Bambino.

Inoltre, Itri è una cittadina ricca di folclore e tradizioni, come la celebre “infiorata” in onore del Corpus Domini ed i festeggiamenti in onore della Madonna delle Grazie e della Madonna della Civita, patrona di Itri e dell’Arcidiocesi di Gaeta.

L’accensione dei falò ricade nella notte antecedente l’equinozio di primavera motivo per cui diverse teorie indicano l’accensione dei fuochi come gesto rituale per salutare l’inverno freddo e improduttivo e dare il benvenuto alla primavera, stagione di vita e rinascita.

Era infatti usanza dei falegnami del borgo ripulire le botteghe ed i magazzini dagli scarti della lavorazione ed allestire i falò, anche in onore del Santo Giuseppe, loro patrono e protettore. Sulla cima di ogni fuoco veniva e viene tuttora posto un manichino fatto con stracci vecchi simboleggiante appunto l’inverno.

La regina della festa è la zeppola itrana, nonché la degustazione di salsiccia itran ,e delle olive itrane più comunemente chiamate di Gaeta.

Difatti, questo nome deriva dal possesso dei gaetani di un porto che ne permettesse il commercio e con il tempo la provenienza è stata associata all’omonimo territorio e non alla produzione itrana.

Il territorio ospita, inoltre, ul Museo Demoetnoantropologico del Brigantaggio inaugurato nel 2003 grazie al contributo dell’Unione Europea, della Regione Lazio e della Provincia di Latina. Il percorso espositivo mette in scena, grazie a scenografie concettuali e paesaggi storiografici ragioni della repressione come del fascino, dello sterminio e del recupero le quali vengono mostrate evocando la dinamica storica e la risonanza culturale rielaborate come pratiche militari di conquista, strategie di comunicazione e politiche locali di patrimonializzazione.

Di notevole memoria l’attribuzione di una medaglia al valor civile per la resistenza opposta dagli itrani nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Difatti, come viene scritto, la cittadina «colpita da numerosi bombardamenti aerei e da dure rappresaglie nemiche, sopportava con animo fiero ed impavido le immani distruzioni ed il sacrificio di numerosi suoi figli».

Spesso si è soliti pensare che il passato possa essere una fonte di debolezza o di dolore che sia meglio eludere dalla nostra memoria.

Il presente, però, ci insegna che la struttura che ci definisce oggi, il nostro modo di parlare, di pensare, di agire e di rapportarci con gli altri non è altro che frutto del nostro imponente passato e, che sia bello o brutto, esso va accettato e preservato.

Bisogna averne cura, onorarlo, onorarne la memoria poiché senza esso non ci sarà futuro; si arriverà ad un punto nel quale l’uno non saprà riconoscersi con l’altro, nel suo mondo, con sé stesso.

Le tradizioni, inoltre, che fanno di un luogo ciò che realmente esso è, vanno a costituirne uno scheletro portante dal valore inestimabile.

La cittadina di Itri ha dimostrato di saper avere cura della sue rovine, di rinascere da esse senza dimenticarle mai, senza dimenticare il dolore ma esponendolo.

D’altronde, ci sono cuori integri che non portano graffi né scalfiture, non mostrano lesioni né ulcere e poi ci sono cuori incrinati che mostrano solchi ed incisioni, presentano cicatrici e tagli mai rimarginati del tutto. Ce ne si accorge quando se ne incontra uno, perché è possibile sentirlo battere.