Professori o maestri?

di Krizia Celano 
Esiste un confine sottile tra il pretendere rispetto delle regole e la limitazione della libertà personale. Questo confine è stato valicato in un istituto di istruzione superiore di Treviso dove il 24 gennaio scorso uno studente è stato sorpreso ad utilizzare il suo smartphone durante le ore di lezione. In seguito la docente ha provvisto al ritiro dell’apparecchio che, al termine delle lezioni, non è stato più restituito al proprietario. Il ragazzo allora non ha esitato a denunciare il fatto per sequestro illegittimo ed abuso di potere. Chi ha torto? Chi ha ragione?
L’assessore regionale all’istruzione Elena Donnazan è del parere che nelle scuole debbano “vigere regole interne che ripristino il concetto di comunità educativa che gli istituti dovrebbero continuare ad essere.” La Donnazan, infatti, continua sostenendo di non essere contraria al sequestro poichè “in una scuola dovrebbero prevalere le regole del buonsenso e della disciplina prima del codice civile o del codice penale.”
Questo concetto, però, può essere valido solo ed unicamente durante le ore di lezione poichè il docente è da considerarsi al di sopra dell’alunno in una scala gerarchica; nel momento in cui le ore di lezione terminano, le due parti si ritrovano su uno stesso gradino della scala, sopra il quale c’è scritto “persone”.
C’è da dire come prima cosa che colei che ha sequestrato il mezzo di comunicazione al ragazzo si è resa responsabile delle condizioni di quest’ultimo una volta al di fuori dell’istituto: i genitori dello studente, difatti, erano fuori città quel giorno ed egli è stato impossibilitato nel contattarli o far loro sapere dove si trovasse.
In aggiunta, se fosse capitato un infortunio di qualsiasi tipo al ragazzo in una strada desolata tornando a casa, non potendo avvertire la sua famiglia dell’accaduto, la docente sarebbe stata ancora una volta incolpabile; ma soprattutto c’è da mettere in chiaro che l’educazione e l’insegnamento non vanno confusi con la superbia. Come spiegato dall’assessora Donnazan, nelle istituzioni dovrebbe vigere innanzitutto il buonsenso, che riguarda la parte studentesca quanto quella “al comando”.
La realtà descritta da tale episodio evidenzia chiaramente come spesso, chi è garante del rispetto di determinate norme, ecceda nel suo zelo, travalicando il ruolo che si trova a rivestire. E’ indubbio che il comportamento della docente in questione sia stato impeccabile fino al momento della conclusione delle lezioni. Al di fuori delle mura scolastiche, però, non abbiamo più un docente che si interfaccia con un suo alunno, ma due individui che hanno pari diritti e doveri e tutto ciò non può essere eluso.
La perdita dell’equilibrio spazio-tempo-chi sono è spesso frequente in istituti dedicati alla cura di persone con deficit fisici o psichici; queste ultime vengono maltrattate poichè incapaci di difendersi da sè e la cosa peggiore è che ciò avviene in maggior modo con bambini o anziani. L’abuso di potere è purtroppo presente anche in ambienti istituzionali dediti alla protezione ed alla difesa dei cittadini scadendo in alcuni comportamenti che fanno prevalere la superiorità della divisa e non il rispetto per essa.
A questo punto la domanda sorge spontanea: è questo che sono diventate le istituzioni? È questo che sono diventati coloro i quali dovrebbero dare esempio? La risposta è sicuramente no, perchè per fortuna il mondo è pieno di persone che svolgono bene il loro lavoro all’insegna della giustizia e della serietà. Coloro che non lo fanno, allora, dovrebbero eseguire su se stessi un esame di coscienza e cercare di comportarsi da leader e non da boss; questi due termini possono sembrare simili ma si differenziano totalmente l’uno dall’altro. Il leader è un Re capace di capire i suoi sudditi e di lottare con loro per un traguardo, il boss è un dittatore senza speranza che susciterà solo sdegno verso i suoi confronti al posto della suprema ammirazione di cui è alla ricerca.